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L’IPOTESI DI GHAZZE

PREFAZIONE AL LIBRO L’INNESCO COME IPOTESI DI GHAZZE di Daniele Ruta
Prezzo 18 euro  Tutti i diritti riservati

NOTA DELL’AUTORE

Scrivere un libro e’ bello, difficile qualche volta. Non ho mai creduto alle prefazioni. Ma questa volta
invito volentieri i lettori a cominciare la lettura del libro solo dopo aver letto questa nota perche’
e’ molto complessa e articolata la storia e il percorso storico dell’Innesco come ipotesi di Ghazze.
E poi ci sono indicazioni che vanno riportate ed elementi che vanno segnalati. E’ un tutto indispensabile
per raccontare la storia della storia. La storia dell’opera e la storia dei suoi significati. Ho finito di scrivere
questo lavoro nel lontano 1994 e il suo titolo originale era:”L’innesco come ipotesi di Gahhze”. L’idea era
che tutte le storie dovevano intrecciarsi tra di loro per confluire nell’ipotesi. Ero convinto che se avessi
staccato dal libro anche un solo racconto, il libro avrebbe perso il suo corpo e la sua anima. Perche’ erano
i racconti che divenivano pezzi di un puzzle per la raffigurazione della scena. Mancando un solo ritaglio
l’immagine non si sarebbe vista. Il racconto “Tra le montagne per fermare il tempo” fu pubblicato da un
giornalino inesistente editato in un posto maledetto.  Tra quelle montagne si realizzarono i primi contatti
con alcuni dei personaggi e si svilupparono i primi elementi che attendevano di intrecciarsi plasticamente.
Se non avessi vissuto in altri posti e in altri luoghi, le cose ascoltate, dette, o immaginate  dall’umanita’
dell’incontro, senza dubbio, non sarebbero nate. E’ questa la magica ed eccezionale fenomenologia del
lavoro di narrazione. Se non fossi stato nel Carso, in Carnia, tra gli Abruzzi, nelle terre tutte, uno dei tanti
personaggi non sarebbe mai diventato, nessuno sarebbe mai divenuto. I personaggi piu’ semplici, quelli
piu’ tragici, i piu’ complicati. Umanita’ reale che nasce con l’indagine sociale. Avevo scelto di lavorare con
il pensiero ma sapevo che mi sarei dovuto confrontare anche con il tempo e le distanze. Pertanto Fufu’
non e’ un uomo reale. Lui si e’ formato con pezzi di uomini, con pezzi di storie e di umanita’ e il collante
usato per attaccare il tutto e’ stato il viaggio del narratore affondato nel triangolo del tempo, del pensiero e
della parola. Il libro poteva non finire mai se non si fosse scelto di fermare il treno o di attraccare la nave
in porto. In questo caso Fufu’ sarebbe diventato un personaggio piu’ complesso, con piu’ pezzi di
umanita’ e con dentro piu’ conoscenza. Sociologica, pschiatrica, pscologica. Ho scelto il metodo,
plasticamente. Portare a me tutto quello che sapevo,tutto quello che indagavo. Lavorare con l’inchiesta
giornalistica e l’indagine sociale. E modellare. Avrebbe Fufu’ espresso molte piu’ cose intanto che gli spazi
diventavano grandezze. Tra le pagine leggerete la gioia e la vitalita’ della vita riportata da occhi che vedono
laghi, nature, paesaggi tutti difficili da raccontare. Con questa gioia anche l’umanita’ si ama. Tanto da fare
la scelta del lavoro plastico. Ricucitura, riaggancio, rimando. E scatenare domande. Perche’ costruire
Fufu’, che e’ mezzo paranoico e mezzo siciliano, con ritagli di altri mondi? Non lo si poteva lasciare solo
siciliano? E caratterizzarlo cosi’ come principalmente appare? La risposta sta nel metodo di lavoro e nelle
intenzioni per realizzarlo. Ho studiato le scienze umane, ho studiato cosa studiano e cosa pensano
gli pschiatri e gli pscologi. Ho analizzato le loro trappole mentali e i loro tentativi di acquisire potere
ed esercitare violenza con la loro mente elementare. Molto elementare. Tanto elementare da costringerli
a rifugiarsi in studi contradittori per evitare di diventare loro “pazienti”. Piu’ semplicemente ho lavorato per
capire quali sono i metodi  e le tecniche per le azioni di violenza dei falsi vincenti e di tutti coloro che,
vigliaccamente, si coprono con un titolo, con un apparato e sentono di essere forti perche’ sanno
che tutti gli altri vigliacchi gli sono accanto.
Ma se si provasse a tirarli fuori dal branco diverrebbero inerti come dei vermi e finirebbero tra le strade del
disagio e dell’emarginazione molto prima di coloro che hanno saputo resistere e hanno voluto almeno
combattere i conflitti della loro esistenza.
C’e’ quindi nell’opera un primo atto diretto di giustizia che ci dice che la differenza, questa differenza,
e’ solo un inganno. Tutto cio’ che ci succede,tutto cio’ che noi viviamo, per come lo viviamo, e’ determinato
forse da una condizione sola, o da tante e piu’ diverse condizioni. Puo’ essere un incontro, un modello sociale,la storia di un territorio e anche una sola di queste condizioni potrebbe esplodere se agganciata
ad una storia del nostro passato o ad una immagine che proiettiamo nel futuro. I falsi vincenti non lo
dicono perche’ non lo sanno. Infatti non li troverete tra i miei personaggi la cui espressione, la cui
tensione, potete interpretare. Ed e’ in questa luce di verita’ espressa con la parola diretta che molti
di voi si ritroveranno.  E capirete che siete, in parte, come loro, ma che non lo avete raccontato mai
a nessuno. Se qualcuno di voi lo avesse fatto sarebbe caduto nella trappola. E’ il tranello di coloro che
vi avrebbero subito identificato come “diversi”, che avrebbero comunicato la vostra diversita’ per
rendere sempre piu’ grande il selciato tra i due mondi distinti. I falsi vincenti si sarebbero nutriti della
vostra anima. E avrebbero potuto dire dove stanno le parti, dove e’ collocata la linea di demarcazione
che divide il mondo reale da quello irreale, quello sociale da quello asociale. A che serviva dunque narrare i falsi vincenti e a che scopo? Nel descrivere Fufu’ lo scopo invece c’era. Lui doveva essere un uomo che poteva abitare a Canicatti’ ma pure a Zagarolo. Allo stesso modo Lorenzo, Stefano, tutti gli altri. Uomini vivi,vitali, che non mentono al mondo, che non portano la menzogna nella loro vita.
Con quanti giornalisti ho costruito Michael Pott? Tanti, vi assicuro tanti. Alcuni di loro erano
sicuramente piu’ bravi dei tanti mediocri che i potenti piazzano tra le redazioni dandogli il ruolo
di culi di piombo. Lavorano a riscrivere cose gia’ scritte da altri e di questo si accontentano.
Si accontentano di essere chiamati giornalisti e di avere una bella macchina cosi’ che le
ragazze non li lasciano. Con il mondo di Michael Pott mi sono confrontato per un tempo lungo e
con questi personaggi del mondo ho vissuto spazi di vita e compreso la disperazione di chi
sceglie di raccontare e si trova privato degli strumenti per poterlo fare. Perche’ gli altri sono molti
di piu’ e si accontentano sempre. Uno di loro mi ha insegnato il valore della resistenza, mi ha
sempre ricordato che anche la notte finisce, anche la luna scompare. Li ho espressi tutti, in ogni
forma e onoro quelli che hanno perso, quelli che stanno nel campo di battaglia e che possono farti
capire che puoi far nascere una notizia anche guardando il tetto di una casa o il suo terrazzo.
Intanto gli anni passano e l’editoria continua ad ignorarmi. Mi convinco che questo sforzo letterario
e’ un tentativo gia’ perso. Considero l’idea ancora vincente ma penso che nessuno sia in grado
di adottarla. Volevo che i racconti scorressero gradevolmente e che con l’innesco plastico del
rimando l’ipotesi sarebbe stata letta chiaramente. Eppure, mi domando,che, di volta in volta,nel
passaggio del decennio, molte delle storie di gahhze prendevano luce, anche se esposte senza
l’approfondimento intimo dell’uomo che cerca di aprire una porta sconosciuta per entrare nella
stanza buia. La violenza sessuale e pscologica sulle donne, la violenza sul posto di lavoro o il controllo totale che si sta arrivando ad esercitare sul nostro vivere, sul nostro comunicare, sulla nostra
intimita’, sul nostro pensare. I personaggi di ghazze avevano allora ragione? Le tracce sono tante,
sarebbe inutile riportarle tutte. Cercatele e troverete voi da soli la risposta. Rammentate pero’ il
tempo del distacco. Leggerete cose concepite dieci anni fa’ e poi ci sono altre tracce e non troverete
riscontro.La sofferenza maschile non trattata ancora. Quella contrapposta che vive del riflesso
di una violenza diretta all’altro sesso. Si vuole e si deve rappresentare l’uomo come un prototipo che diventa
macchinetta in serie, sempre disposto ad accettare l’idea conforme, quella dilagante. I soldi, il sesso, la droga, le macchine e la corruzione di se stessi per avere tutto questo. Ma io so che non e’ cosi’, lo so per il
mondo che ho indagato,per le storie che ho cercato,per la sofferenza che ho trovato. Esiste una maggioranza
silenziosa che aspetta sempre qualcosa di nuovo, che aspetta di trovare una nuova parola e un nuovo modello per pensare con gli altri. Nasce per questo Alan Saxi e in questo si articola e si evolve la sua scelta
definitiva. Perche’ questa umanita’ che vorrebbe esistere ha paura di comunicare, ha paura di cominciare a
farlo. Non bisogna esporsi e nemmeno tentare di dire le cose vere.  Un’idea non deve essere espressa con
tutta la sua forza, un’idea puo’essere carpita per essere contraffatta, o contraddetta per essere dimenticata.
O deturpata, derisa, profanata e con questi elementi alimentare il fuoco che la distrugge.  Gli anni del decennio li ho vissuti da un posto all’altro trovando gli uomini e le donne dell’umanita’ che mi ha detto di
restare, fermarmi, che mi ha sollecitato a scrivere. Ho trovato rifugio e amore e pensieri e parole che in
altri posti non si sarebbero mai formati. Anche se i falsi vincenti ci sono, come posso credere che il mondo
sia tutto uguale, come loro dicono. Intanto che ci sono, intanto che lavorano a mistificare e ad alterare i
significati della nostra vita, intanto che fanno questo ci sara’ sempre qualcuno disposto a contrastarli.

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